Eliana Godino nasce a Cosenza nel 1990. Dopo la maturità classica, si diploma all’Accademia di Belle Arti di Roma, cominciando a lavorare nel campo della grafica pubblicitaria e dell’illustrazione. Viaggia molto per l’Europa, l’America e l’Asia, appassionandosi sempre di più alla fotografia. Tornata nella sua terra natìa, apre il suo studio “Free Idea”. Entra a far parte del team “Corigliano Calabro per la fotografia”, associazione organizzatrice dello storico Festival “Corigliano Calabro fotografia”, seguendo diversi workshop con grandi fotografi contemporanei. Il suo primo progetto, “Ritratti del Sud: Storie, Volti, Eccellenze di Calabria”, riscuote notevole successo. L’opera, bilingue, con una versione in italiano e una in inglese, contiene circa 70 fotografie, alcune edite e altre inedite, tutte scattate dalla stessa.
Recentemente, il suo progetto è finalista del Premio Internazionale Ovidio a Sulmona nella sezione narrativa edita. L’artista ha anche avuto l’onore di essere accanto alla neuroscienziata di fama mondiale Amalia Bruni, che, durante la sua premiazione alla carriera in Svizzera, l’ha scelta, insieme ad Angelica Artemisia Pedatella, figura del teatro, come testimonianza di una Calabria che cresce e va avanti. «Eliana per me rappresenta il futuro», afferma la Bruni, al microfono del Salone Internazionale a Torino. «Questo libro che lei ha scritto e fotografato è un messaggio potentissimo, perché è un’emozione che regala non a chi non conosce noi (che facciamo parte dell’opera n.d.r.), ma a chi non conosce la Calabria», conclude. Di seguito, l’intervista.
Com’è nata la sua passione per la fotografia?
La mia passione per la fotografia è nata da piccola, quando ero affascinata dai libri, dagli editoriali e dalle immagini che raccontavano storie. Ho iniziato il mio percorso come grafica, specializzandomi in fotografia. Ricordo ancora la prima volta che ho cambiato una pellicola: ero in terza elementare e mi trovavo al Castello Ducale di Corigliano. Il destino ha voluto che fosse proprio quel luogo a ospitare la mia prima mostra. La fotografia mi ha sempre permesso di creare e raccontare storie, fin da quando ero bambina e usavo le bambole per mettere in scena delle storie che poi fotografavo.
Come sono cambiati, se sono cambiati, i soggetti della sua fotografia? In che modo il suo stile si è evoluto nel tempo?
Il mio percorso fotografico è stato molto variegato. Ho sperimentato diversi stili, dalla fotografia di paesaggio ai ritratti, dallo still life alla fotografia di eventi. Con il tempo, il mio approccio è cambiato: da una fase di esplorazione, sono passata a una di maggiore consapevolezza. Ho capito che la fotografia ritrattistica è ciò che più mi tocca profondamente e mi lascia un’impronta duratura, rappresentando per me un modo per cristallizzare l’anima delle persone. Fotografare una persona non è solo un atto tecnico, ma una forma di connessione intima con l’altro e una maggiore conoscenza di me stessa. Prima di scattare un ritratto, stabilisco un contatto attraverso delle interviste, poiché credo sia fondamentale guadagnarsi la fiducia di chi si fotografa. Non si può mai prevedere come una persona reagirà di fronte alla macchina fotografica: alcuni potrebbero sentirsi a loro agio, altri potrebbero provare timore. Il mio approccio si basa quindi sulla creazione di un’interazione autentica e su una comunicazione spontanea, un percorso di scoperta che mi ha permesso di catturare emozioni reali e sincere attraverso le immagini.
Ha incontrato fotografi o altri artisti che hanno influenzato la sua visione e il suo approccio alla fotografia? Come questi incontri hanno contribuito a definire il suo percorso artistico?
Ho incontrato molti artisti, molti fotografi e molte persone che hanno avuto un impatto importante sulla mia visione. Ogni incontro mi ha arricchito, ognuno di loro mi ha donato qualcosa, anche in modo indiretto. Quando inizi a fare un percorso artistico, ti rendi conto che non sei mai completamente pronto, ma che c’è un momento in cui tutto si svela. Ho imparato che non è facile fotografare le persone, perché non basta solo immortalare un’immagine, ma bisogna intercettare la parte più autentica che spesso si nasconde dietro le difese. Gerardo Sacco, per esempio, ha definito più volte il mio lavoro come ‘’una seduta dallo psicologo’’, un’osservazione che mi ha colpito profondamente poiché non saprei come meglio definire questo processo creativo e conoscitivo.
Dopo aver viaggiato molto, ha deciso di tornare nella sua terra natìa e aprire il suo studio “Free Idea”. Cosa l’ha spinta a tornare a casa e cosa significa per lei “Free Idea”?
Come diceva Alvaro: “Io amo questa terra, e perché la amo non lo so”. Non è facile spiegare perché ho scelto di tornare. La creatività mi ha sempre spinto a cercare una libertà di espressione, e ho sentito che dovevo farlo nella mia terra. “Free Idea” per me rappresenta proprio questa libertà di esprimere la mia arte senza limiti, di collaborare con un team di professionisti che condividono la stessa visione. In questo spazio, non mi limito solo alla fotografia, ma esploro anche altre forme artistiche, come la videografia, la grafica e la pubblicità. Molti pensano che il coraggio consista nel partire, ma io credo che il vero coraggio stia nel restare e investire nel proprio territorio. Vengo da un paese di 2.500 abitanti, San Sofia d’Epiro, dove la libertà di vivere tranquillamente e vicino alla famiglia è qualcosa di molto prezioso. Per me, la vera felicità è crescere in questo contesto e portare avanti progetti che scardinano alcune dinamiche tradizionali, creando una rete di professionisti che lavorano insieme per innovare.
Cosa direbbe ai giovani calabresi che vogliono intraprendere questa strada?
Innanzitutto, consiglierei loro di studiare tanto, visitare mostre, leggere, per trarre ispirazione e crescere professionalmente. Li incoraggerei a frequentare workshop e a partecipare ad iniziative artistiche come il “Festival Corigliano Calabro Fotografia” diretto da Gaetano Gianzi e dai soci dell’Associazione omonima, che ormai è giunto alla sua ventunesima edizione. È un evento che ha ospitato grandi nomi della fotografia, come Gianni Berengo Gardin, Franco Fontana, Maurizio Galimberti, Ferdinando Scianna, Francesco Zizola, Monika Bulaj, ed è una grande opportunità per sperimentare e capire su quale versante concentrarsi. Inoltre, è possibile far leggere durante il Festival i propri portfolio, un momento di grande valore per i fotografi. Il mio lavoro mi ha portato a fare scatti non solo in Calabria, ma anche in altre regioni italiane ed europee. Quando c’è passione, i chilometri non sono un problema. Quando si deve raccontare una storia, le distanze non contano.
Nel progetto “Ritratti del Sud”, racconta storie di eccellenza e positività. Qual è il messaggio che spera di trasmettere attraverso le sue immagini? Cosa accomuna queste persone? È un invito alla riflessione per i calabresi, o vuole che il mondo scopra una Calabria che troppo spesso rimane nell’ombra?
È un invito alla riflessione per entrambi. Il mio intento è mostrare una Calabria positiva, fatta di persone di successo che hanno origini calabresi. Voglio raccontare una realtà diversa, senza negare quella che fa notizia, ma mostrando anche il lato positivo: storie di calabresi che, attraverso motivazione, sacrifici e forza di volontà, sono riusciti a emergere. Mi auguro che i calabresi riflettano sulle loro origini e su cosa vogliano essere, non solo sul giudizio che arriva da fuori, che troppo spesso dipinge la Calabria come “un cancro dell’Italia”. Ho visto la felicità negli occhi delle persone che ho fotografato. Buona parte della mia felicità è un rimbalzo della felicità altrui, se poi glia altri sono felici grazie a me, sono doppiamente contenta! Credo che il cambiamento debba partire proprio dai calabresi, dal riconoscersi protagonisti del proprio destino e nel dare una nuova narrazione alla propria terra.
Guardando al futuro, quali storie sogna di raccontare? Ci sono nuovi temi o progetti fotografici che la ispirano e che vorrebbe esplorare nei prossimi anni? La Calabria, terra di contrasti tra bellezza e difficoltà, continuerà a far parte dei suoi racconti e se sì, raccontandone la luminosità per scacciarne il buio?
Non ho ancora progetti definiti, penso che l’ispirazione debba venire da dentro di me. Tuttavia, non abbandonerò la Calabria. Continuerò a seguire la strada della bellezza, per celebrarla e rivalutare la nostra terra. Un tema che intendo esplorare è l’Arberìa, una cultura ancora poco conosciuta, ma ricca di radici profonde, tradizioni uniche e valori familiari tramandati da generazioni. Il mio ritorno in Calabria è anche legato a questo desiderio di preservare la cultura arbëreshë. Durante le feste di Natale, Pasqua, o in altri momenti significativi, c’è sempre l’occasione di stare insieme, cantare intorno al focolare e celebrare la tradizione. Penso che la lingua e la cultura arbëreshë siano ancora più preziose oggi, e che ci sia bisogno di un lavoro istituzionale per preservarle.
Virginia Diaco