’’La Disfatta. Il crollo dei Borbone in Calabria’’: da un regno con le fondamenta marce alla partecipata unificazione nazionale

È ‘La Disfatta. Il crollo dei Borbone in Calabria’’ l’ultimo importante lavoro di Martino Antonio Rizzo che si aggiunge alla sua vasta produzione storiografica. Lontano da intenti celebrativi della monarchia assoluta che ebbe in mano il Meridione e la Sicilia dalla Restaurazione all’Unità d’Italia, ne ripercorre la caduta in Calabria e l’adesione dei più rilevanti gruppi politici locali al progetto nazionalista di unificazione. “Il Risorgimento – scrive l’autore – non fu fatto solo da Cavour, Garibaldi, Mazzini, ma anche dalle migliaia di uomini che tramarono, combatterono e immolarono la loro vita per la libertà e l’Unità, anche in Calabria.”

La ricostruzione storica procede in modo analitico, giorno per giorno e paese per paese, supportata da monografie di autori filopiemontesi altri filoborbonici che tra il 1872 e 1937 si sono occupati del passaggio in Calabria della spedizione dei Mille, e da numerose fonti quali testimonianze, lettere, diari, dispacci e relazioni di ufficiali di ambo le parti, opportunamente riportate in bibliografia.

Le vicende che hanno interessato i vari territori calabresi dal Reggino fino al Pollino sono corredate da oltre ottocento note e da un’appendice che contiene rari documenti dell’epoca, nell’intento dell’autore di «far parlare» prima di tutto i protagonisti e i fatti, ‘’senza cedere a partigianeria, esaltazioni o mode’’.

«Il collasso del dispositivo militare borbonico e la rivoluzione in Calabria si legge nella prefazione al volume del professore Carmine Pinto si determinarono nel brevissimo arco di due settimane. Il libro di Martino Rizzo racconta ed analizza questa intensa fase della spedizione garibaldina, utilizzando memorie, documenti, materiali di tutti i protagonisti e delle diverse prospettive della crisi calabrese».

Martino Rizzo prende le mosse dalla conclusione della vittoriosa campagna garibaldina Sicilia, attestante la crisi di legittimità della monarchia borbonica e le conseguenze dell’antico conflitto civile. L’opera parte dal primo tentativo di sbarco in Calabria con la spedizione Musolini l’8 agosto 1860, e i passaggi a Bagnara, Pedavoli, San Lorenzo, per continuare con l’approdo delle navi Franklin e Torino ai Giardini Naxos e il successivo attracco a Melito Porto Salvo, con la battaglia di Reggio, lo sbarco di Medici a Favignana, le varie rese, l’uccisione di Briganti, il transito pacifico del generale Ghio all’Angitola, i fatti di Soveria Mannelli, e l’arrivo trionfale conclusivo di Garibaldi a Spezzano Albanese e a Castrovillari.

Se da una parte viene evidenziata l’ormai palese debolezza politica e personale del giovane e ultimo re Francesco II, i cui  uomini – come si legge ad esempio nella corrispondenza tra il comandante del corpo borbonico Giovan Battista Vial e il brigadiere Bartolo Marra – non avevano più fiducia nelle prospettive del regno, dall’altra si traccia il vigore dei volontari garibaldini e dei rivoluzionari meridionali, sicuri di prendere parte a un momento irripetibile, come cofondatori di una grande nazione di dimensioni europee.

Nella minuziosa attività documentaria, la rivoluzione nazionale italiana e l’antico conflitto civile meridionale si intrecciano nell’agosto del 1860. L’inizio delle operazioni, confuso sia per i volontari che tentarono un primo ma disordinato sbarco, sia per i borbonici che non riuscirono a frenarli, preparava in realtà una massiccia insurrezione, vincolata all’arrivo del generale e dell’esercito meridionale garibaldino.

L’autore ricostruisce dettagliatamente le operazioni militari a Reggio e la crisi di comando della marina borbonica. Garibaldi, i suoi generali e i capi calabresi facevano a gara per guidare le truppe e conquistarsi un pezzo di palcoscenico; il ministro della guerra napoletano Giuseppe Pianell e il comandante territoriale in Calabria Giovan Battista Vial non parteciparono neppure alle operazioni. Di conseguenza, le brigate napoletane si arresero una dopo l’altra. E Garibaldi continuò la sua marcia trionfalmente, accolto ovunque da una grande mobilitazione. Il transito veloce da Reggio a Napoli venne da lui stesso definito ‘’corsa celere’’, a dispetto dei quindicimila soldati borbonici che avrebbero dovuto impedirlo.

Il carisma di Garibaldi e la forza dell’insurrezione determinarono lo sgretolamento gli ultimi corpi borbonici. Con la resa di Ghio si giunse al collasso finale per gli uomini di Francesco II.

La fine del Regno delle Due Sicilie si rivela titolo di merito per i calabresi unitari. A riprova di ciò, si riporta alla memoria l’obelisco innalzato a Soveria Mannelli una ventina di anni dopo la campagna, ancora oggi visibile e restaurato. Sulla parte frontale fu inciso proprio il telegramma che annunciava la resa delle truppe borboniche comandate dal generale Giuseppe Ghio. Il generale scriveva “Dite al mondo che alla testa dei miei bravi calabresi ho disarmato dodicimila soldati borbonici al comando del generale Ghio”.

Questo messaggio fece il giro del mondo; solo una settimana Garibaldi era Napoli, nel frattempo il re Francesco II cercava miseramente di mettere insieme il suo esercito sul Volturno. Ancora una volta emerge nitida l’immagine del divario politico, militare ed emozionale tra le due parti, decisivo al crollo del Regno delle Due Sicilie che, Martino Rizzo, dimostra ampiamente marcio nelle sue fondamenta.

Virginia Diaco

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