La festività della Pasqua è sempre stata l’unione fra cristianità e folklore. La tradizione popolare si fonde perfettamente con il senso religioso e diventa un tutt’uno con la fede. Ogni comunità poi ha dato nel tempo una connotazione specificatamente propria, raccontando la Pasqua a modo suo: tra processioni silenziose, canti antichi, riti simbolici e spettacoli di luce e fuoco. Per quanto riguarda poi il culto greco-bizantino delle famiglie arbëreshë, ulteriori varianti arricchiscono il periodo legato alla Resurrezione di Cristo. Sicuramente il rito più noto è la tradizionale danza delle Vallje, un momento di gioia collettiva che si svolge il lunedì di Pasquetta per celebrare la vittoria di Giorgio Castriota Scanderbeg sui Turchi.
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L’acqua fonte di vita e guarigione
Ma c’è una particolare usanza che riguarda il Sabato Santo e in maniera distintiva il comune di Vaccarizzo Albanese: L’Acqua Muta. Nella credenza popolare cristiana, da sempre l’acqua investe un potere di guarigione, non a caso è l’elemento utilizzato dai ministri della Chiesa per benedire i fedeli. Il popolo tradizionalmente ha poi conferito il potere di sanare malattie o rimuovere ogni forma di male, anche il malocchio. Tutto questo ha favorito l’avvio di questo rito che si svolge nel particolare momento della mezzanotte del Sabato Santo che, secondo il calendario liturgico albanese, corrisponde al momento della resurrezione di Cristo. Se in casa c’è un ammalato, una donna della famiglia, in assoluto silenzio, deve recarsi presso una sorgente d’acqua dove, dopo essersi lavata la faccia, riempie un recipiente che porta a casa. Con quell’acqua, rivestita di un potere miracoloso, si lava il malato mentre la restante acqua viene distribuita tra i vari membri della famiglia perché porterà loro fortuna.
Gli studiosi che hanno approfondito il fenomeno
Tale usanza, che porta benefici all’anima e dà speranza, in forma tradizionale folcloristica si pratica ancora a Vaccarizzo Albanese con qualche variante a San Cosmo Albanese mentre a San Demetrio Corone e Spezzano Albanese e in altri paesi viene fatto un rito simile definito “Acqua rubata”. Nel tempo, tanti studiosi si sono occupati di tale rito, come Alighieri Mazziotti, Adriano Mazziotti, Giorgio Marano, Carmine Stamile, Vincenzo Librandi, don Pietro Minisci, Damiano Guagliardi, Maria Bolognari, ecc. Francesco Altimari, ad esempio, non ha solo fornito notizie specifiche corredando di documentazione fotografica tutti i passaggi di questa usanza.
Il legame con l’Albania
L’evento è stato sempre avvertito dalla popolazione con grande solennità e partecipazione emotiva. Ma che legame c’è con la terra natia, l’Albania? II professore Francesco Perri ha studiato il rito e si è documentato presso il QQSPA (Centro Studi e pubblicazioni sugli arbëreshë), con la collaborazione del professore Emil Lafe: «Grazie al prof. Lafe sono riuscito ad accedere alla numerosa bibliografia in merito e studiare i casi in cui il rito viene citato e descritto. Questo mi ha permesso di affermare con prove documentarie che il rito proviene sicuramente dall’Albania e che non sia nato una volta giunti in Italia, come erroneamente qualcuno sosteneva» ha affermato lo studioso locale. Il professore Perri ha scoperto che, attualmente, questo rituale in Albania viene ancora praticato a Polenë, un villaggio di Korça, solo da due donne anziane, che ogni Sabato Santo si recano a riempire l’acqua alla sorgente vicino a una chiesetta e tornano a casa senza parlare, poi recitano alcune formule che conoscono solo loro. Una lo fa solo per sé stessa, mentre l’altra lo condivide con chi glielo chiede. Queste formule vengono usate per attirare il bene, per la guarigione, per i fidanzamenti, per i matrimoni e quando la sposa non partorisce per favorire la procreazione. A Valona e molte altre regioni la stessa acqua è nota per essere curativa anche per i bambini che ancora non parlano dopo aver compiuto i tre anni di età. Le varianti sono tantissime: in altri villaggi di Zagoria, ad esempio, una donna andava a riempire d’acqua il secchio prima dell’alba così da non incontrare nessuno sulla via del ritorno e non scambiare parole con nessuno. Tale acqua serviva a guarire qualsiasi tipo di male.
Perché solo a Vaccarizzo e non in tutti i comuni arbëreshë?
Il motivo per cui questa usanza si sia radicata a Vaccarizzo in modo così forte e non nelle altre comunità arbëreshë il prof. Perri non riesce a spiegarselo. «Non abbiamo trovato al momento documenti che provino la motivazione per la quale il rito non sia conosciuto in tutte le comunità arbëreshë ma solo a Vaccarizzo e a Spezzano. Ma è a Vaccarizzo che continua a svolgersi con la partecipazione sentita della popolazione, che ha fatto di questo rito una modalità propria per esprimere la propria devozione» ha concluso il prof. Perri. Infatti, a partire dagli inizi del Novecento, l’usanza ha cominciato a coinvolgere tutta la cittadinanza e non sono le famiglie degli ammalati: a mezzanotte del Sabato Santo, quando suonano le campane a festa per annunciare la resurrezione di Cristo, contemporaneamente si accende, nella piazza antistante alla chiesa, un grande falò, preparato dai giovani che, fin dal pomeriggio, sono andati in giro in tutto il paese a procurarsi l’occorrente. Dopo l’accensione del grande fuoco, i presenti si recano alla Vecchia Fontana e ciascuno si riempie la bocca di acqua che dovrà essere portata fino in piazza per essere sputata sul fuoco. Il tutto deve accadere nell’assoluto silenzio sia l’andata che il ritorno. Gli unici che disturbano la sacralità di questo rito sono i ragazzi che, soprattutto nei confronti delle donzelle, cercano in tutti i modi di distrarre le ragazze per rompere il loro silenzio e costringere a ripetere tutto il rituale da capo. Tali giovani vengono chiamati volgarmente “diavoli tentatori”. Questo dimostra come il momento viene vissuto con leggerezza e voglia di divertirsi, poiché la Passione è terminata e iniziano i festeggiamenti della Resurrezione.