Il pentito rossanese Nicola Acri, oggi nel mirino della malavita, conferma la sua collaborazione con la giustizia. Le sue rivelazioni e le ragioni dello strappo con l’imprenditore ucciso nel 2007
La gola profonda dello Jonio cosentino continua a svelare i retroscena di alcuni fatti di sangue avvenuti nell’area del Cirotano e del rossanese. Nicola Acri conferma la collaborazione con la giustizia e risponde alle domande dei magistrati antimafia. Parla dell’omicidio del reggente Cenzo Pirillo nel cirotano, poi inviso alle cosche Marincola-Farao, avvenuto a Cirò nel 2007. Rivela che avrebbe dovuto essere avvelenato poi si optò per un agguato dalle modalità eclatanti. Acri riferisce i legami che con la vittima aveva instaurato, racconta degli equilibri sottili e dei rapporti di forza con la cosca Forastefano, all’epoca dei fatti in conflitto con il Locale di Rossano. Ma nel suo narrato c’è anche dell’altro: nel corso di un processo a Castrovillari venne ascoltata un’intercettazione in cui si diceva che nel mirino dei gruppi solidali criminali ci fosse proprio lui, “Occhi di ghiaccio”, poiché accusato di minare la unitarietà delle cosche nell’ambito degli equilibri sottili tra le organizzazioni malavitose degli Abbruzzese e dei Forastefano. Nicola Acri mantenne relazioni con i gruppi del Crotonese e del Cirotano con assiduità. Ai magistrati pronuncia una frase inquietante: «Ogni cosca ha le sue spie all’interno delle forze dell’ordine», dimostrando di nutrire dubbi nel 2007 circa la presenza di spie per monitorare e attenzionare il suo clan, anche se, a suo parere, erano i cirotani a essere nel mirino dell’antimafia. Ampi stralci di verbali riguardano i contenuti di una riunione tenutasi a Cirò superiore in cui si discusse delle «problematiche e delle ambiguità che il crimine cirotano aveva creato con i suoi alleati: la vicinanza con i Forastefano e l’allontanamento dagli zingari», oltre ad affrontare le questioni interne alle faide cutresi e dei rapporti con i Grande Aracri e i Nicoscia.