di SERAFINO CARUSO
Nonostante ciò, buona parte dell’olio extravergine d’oliva della nostra Regione e, nel nostro caso, della Sibaritide rischia di essere miscelato con quello di provenienza tunisina, greca e spagnola.
Un trend avviatosi ormai da diversi anni, ma che adesso, viste le decisioni assunte dall’Unione europea, potrà avere effetti devastanti sull’olivicoltura regionale. Per l’attuale campagna olivicola, le stime parlano di una produzione regionale di 246.000 tonnellate di olio. Ma la minaccia arriva dal Nord Africa. O meglio, dalla stessa Unione europea e da un Governo, quello italiano, che non si oppone a quella che potrà diventare la graduale distruzione di uno dei motori trainanti dell’economia italiana: quello della produzione, appunto, di eccellente olio extra vergine di oliva. Che può contare su oltre 50 milioni di giornate agricole e 1,2 miliardi di ettari di uliveti.
La minaccia è questa: più di 35mila tonnellate (secondo le previsioni più rosee) di olio d’oliva tunisino a “dazio zero” arriveranno a breve in Italia invadendo anche gran parte della nostra Regione.
A lanciare l’allarme è Coldiretti Calabria. Ma perché questa assurda decisione, se siamo un Paese che produce olio di altissima qualità? Perché miscelare il nostro olio con quello di bassa qualità tunisino?
La risposta è: per meri interessi governativi. L’Italia, a quanto pare, “utilizza” i prodotti agricoli (stessa cosa sta succedendo anche per i pomodori!) come merce di scambio con prodotti industriali (che dal nostro Paese giungono su quei mercati: in passato è successo anche con il Marocco).
Il tutto senza rendersi minimamente conto (o forse sì, e questa è la cosa più grave!) che così potrebbe essere sancita la distruzione dell’intero comparto olivicolo italiano. E calabrese. Molto dell’olio venduto in Italia e all’estero con marchio italiano è in realtà una miscela di oli di importazione di bassa qualità (secondo la Coldiretti, due bottiglie di olio su tre vendute in Italia non sono italiane).
Molti marchi storici del Made in Italy oleario non hanno proprietà italiana. Le truffe e le frodi, insomma, sono in aumento. Nel 2015 l’importazione di olio extra vergine di oliva dal mercato greco si è attestata ad un clamoroso +634%! Quella dalla Tunisia ad un “bel” +734%. «Una situazione che rischia ‒ secondo la Coldiretti ‒ di peggiorare ulteriormente dopo il via libera annunciato dalla Commissione Europea all’aumento del contingente di importazione agevolato di olio d’oliva dal paese africano verso l’Unione europea fino al 2017, aggiungendo ben 35mila tonnellate all’anno alle attuali circa 57mila tonnellate senza dazio già previsti dall’accordo di associazione Ue-Tunisia». Sotto accusa c’è la mancanza di trasparenza, nonostante sia obbligatorio indicare l’origine in etichetta dal primo luglio 2009 per legge, in base al Regolamento comunitario n. 182 del 6 marzo 2009. Sulle bottiglie di extravergine ottenute da olive straniere in vendita nei supermercati si dovrebbero leggere le scritte “miscele di oli di oliva comunitari”, “miscele di oli di oliva non comunitari” o “miscele di oli di oliva comunitari e non comunitari” obbligatorie per legge nelle etichette dell’olio di oliva.
Ma vi sfidiamo a trovare una sola bottiglia di olio extravergine d’oliva con una scritta del genere sull’etichetta.
Tutto questo ha un nome: frode. Legalizzata dal Governo italiano.
A discapito e alla faccia di quanti si impegnano, ogni giorno, a cercare di fare produzione di alta qualità. Nei supermercati, un litro di olio miscelato con quello proveniente da Tunisia, Grecia (questo buono quanto quello italiano) o Spagna lo si può trovare anche ad un costo di 2,50 €. Un prezzo ridicolo. Perché un litro di vero olio italiano, prodotto con tutti i crismi della legalità, non lo si può acquistare a meno di 5 €. L’olio calabrese viene così venduto in tutto il mondo come al 100% “nostrano” senza in realtà esserlo. Questa è truffa. Coldiretti dà un consiglio, comunque, prima di comprare l’olio: accertarsi che sia al 100% italiano. «Guardare con più attenzione le etichette e acquistare extravergini a denominazione di origine Dop, quelli in cui è esplicitamente indicato che sono stati ottenuti al 100% da olive italiane, o acquistare direttamente dai produttori nei frantoi o nei mercati di Campagna Amica». Il problema, insomma, è la mancanza di trasparenza.
Alimentata da due fattori: Unione europea (che da un lato elargisce aiuti economici e dall’altro agevola i mercati esteri) e aziende agricole “cartiere” (ovvero, quelle che fanno il “gioco” di questo traffico illegale). Cosa fare, a questo punto: bisogna approvare norme che tutelino l’olio extravergine d’oliva italiano con un’apposita legge sull’olio; effettuare maggiori controlli sulle valutazioni organolettiche degli oli; fare controlli serrati alle imprese agricole “cartiere” (e in Calabria e nella Sibaritide ce ne sono parecchie, così come abbiamo potuto appurare dalle operazioni e dai blitz della Guardia di finanza negli ultimi anni); contingentare l’ingresso di olio concorrente nel nostro Paese. Il rischio, come detto, è quello del tracollo del settore, con ulteriore perdita di posti di lavoro e tutte le nefaste conseguenze che ne deriverebbero.