Mentre altrove si punta su aree estese, qui si pretende di reggere con duecentomila residenti e nessuna analisi pubblica
In Calabria la realtà parla chiaro, ma c’è chi preferisce non ascoltare. I dati sulla qualità della vita diffusi da Italia Oggi registrano la provincia di Crotone ancora in fondo alla graduatoria nazionale. Non è un dettaglio, non è un episodio isolato: è la dimostrazione di cosa accade quando un territorio resta troppo piccolo per avere peso, rappresentanza, servizi, riconoscimento. Eppure nella Sibaritide si procede nella direzione opposta, come se il resto della regione non esistesse e come se l’esperienza non insegnasse nulla.
A Corigliano Rossano il Consiglio comunale ha approvato all’unanimità la proposta di una nuova provincia da appena duecentomila abitanti. Una decisione priva di studio, priva di analisi, priva di numeri utili a capire quali vantaggi reali arriverebbero da un ente così stretto. Nessuno ha prodotto una relazione documentata guardando al futuro e al potere contrattuale nelle relazioni con le province storiche. Nessuno ha illustrato ai cittadini cosa cambierebbe.
Il paradosso è che, mentre qui si stringono i confini, altrove si ragiona in senso opposto. Serra San Bruno ha avviato un percorso per tornare nella provincia di Catanzaro. Una scelta ponderata, maturata con consapevolezza, nata da esigenze storiche, economiche e amministrative. Una scelta che non mira a chiudersi, ma ad aprirsi. Lì si è compreso un concetto semplice: territori più ampi hanno più forza, più voce, più peso. Territori minuscoli, al contrario, rischiano di restare isolati, deboli, inutilizzati dai livelli superiori.
Le tre province storiche della Calabria tengono il proprio terreno. Catanzaro, Cosenza e Reggio non hanno alcuna intenzione di arretrare, anzi rafforzano continuamente la posizione all’interno del quadro regionale e nazionale. Non perché abbiano formule magiche, ma perché possono presentarsi ai tavoli decisionali con numeri reali. Popolazione, strutture, uffici, presenza amministrativa: tutto ciò che dà sostanza a un territorio e lo rende interlocutore credibile.
La provincia di Crotone, nata piccola e rimasta piccola, paga proprio questa condizione. Idem Vibo Valentia. Lo confermano gli indicatori. Lo conferma la difficoltà nel richiamare investimenti. Lo conferma la scarsa capacità di incidere nei processi di programmazione. E mentre questo caso dovrebbe rappresentare un campanello d’allarme, nella Sibaritide si fa finta di niente. Si tira diritto verso un progetto che rischia di replicare identici limiti. Si parla di emancipazione, ma ci si dirige verso un recinto.
Non si può sostenere che bastino duecentomila abitanti ma per ottenere cosa ? Non si può pretendere che un territorio di queste dimensioni abbia peso nei confronti di apparati che utilizzano criteri di valutazione basati su estensione, concentrazione demografica, volumi economici, reti di servizi. Non lo dice un’opinione, lo dimostrano i fatti, lo testimoniano anni di classifiche, bilanci, studi applicati al caso di Crotone e Vibo.
A rendere tutto più grave è l’assenza totale di dibattito pubblico. Il documento votato a Corigliano Rossano non è sostenuto da un’analisi tecnica disponibile ai cittadini. Nessuno ha presentato tabelle. Nessuno ha spiegato la sostenibilità finanziaria. Nessuno ha chiarito il rapporto con gli altri comuni interessati. Ancora oggi non si conosce la posizione di Cassano e Castrovillari. Non si tratta di dissenso politico: si tratta di mancanza di trasparenza.
Ci si chiude a riccio. Ci si blinda dietro proposte che restano sospese nel vuoto, senza studio né confronto. E chi chiede chiarimenti viene spesso liquidato come ostacolo. Un metodo che non fa crescere una comunità e che non aiuta a costruire un percorso credibile.
Eppure una strada esiste. È stata immaginata da tempo e continua a rimanere l’unica con un senso compiuto: la Provincia della Magna Grecia, con Corigliano Rossano e Crotone in un sistema integrato. Una realtà da oltre quattrocentoventimila abitanti, con coerenza territoriale, con possibilità concrete di ottenere uffici, investimenti, risorse. Una soluzione ampia, capace di riequilibrare l’intera regione. Un assetto che guarderebbe oltre i confini e porterebbe finalmente il territorio ionico a competere con aree più strutturate.
Scegliere la via più ristretta significa ripetere gli errori del passato. Significa ignorare ciò che dimostrano le Serre, dove si è capito che legarsi a un’area più grande è un vantaggio, non una resa. Significa voltare le spalle all’evidenza offerta dal caso di Crotone, che da anni conferma come un ente troppo limitato non riesca a esprimere progettualità, capacità d’azione, riconoscimento nazionale.
È ora che qualcuno spieghi con precisione cosa si intende ottenere con una provincia minuscola. È ora che chi sostiene questa impostazione produca documenti, numeri, analisi. È ora che la comunità della Sibaritide venga trattata da comunità adulta, informata, consapevole. Presentare una delibera senza illustrare gli effetti è una scelta miope che non aiuta nessuno. Servono numeri, serve peso, serve una visione più ampia. Tutto il resto è un esercizio che porterà agli stessi esiti già vissuti altrove. E invece si vive di boutade, come quella dell’aeroporto a Sibari non suffragato da dati e da flussi.
Matteo Lauria – Direttore I&C
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