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Che Gemma di libro! Alla parola ci si educa, l’ultimo libro dell’esperto di lingua italiana Giuseppe Antonelli

AMPLIARE L’ORIZZONTE È GLAMOUR

Chi segue “Splendida cornice”, programma di Geppi Cucciari, avrà imparato a memoria che l’esperto Giuseppe Antonelli, cinquantaquattrenne aretino, insegna Storia della lingua italiana all’Università di Pavia. Per i cultori di materie umanistiche è, con Motolese e Tomasin, l’erede dei compianti Tullio De Mauro e Luca Serianni. Oggi segnalo la sua ultima opera, “Il mago delle parole” (Einaudi, gennaio 2025), che nelle vetrine o tra gli scaffali potrebbe essere stata scambiata per un saggio specialistico ma è invece un gradevolissimo romanzo divulgativo.

Indomito dinanzi alle statistiche di analfabetismo funzionale e alla dilagante povertà lessicale e scevro da ogni purismo, Antonelli offre un’avventurosa spedizione all’interno di significanti e significati (denotativi e connotativi). Viviamo in una lingua (che “ha per madre il latino e per padre Dante”) e la diamo per scontata, in realtà la usiamo senza alcuna consapevolezza. Molti e intricati pensieri pullulano negli adolescenti (e non solo!), che faticano ad esprimere questo groviglio. «A ogni parola in più che impariamo il nostro mondo diventa un po’ più grande, è un passo in più nella strada che porta fuori dall’infanzia». Le parole fanno crescere, nella capacità di comprendere e comunicare, in consapevolezza. Bisogna rimanere affamati di parole, perché «non si limitano a descrivere la realtà: la incorniciano, la interpretano, a volte la creano».

Nell’incipit il narratore Enrico, studente ripetente delle superiori, si rivolge direttamente al lettore per raccontare la rivoluzionaria apparizione alla classe di un “azzimato” professore di italiano, che da subito incita a rivoltare le parole, fino a trovare l’incastro giusto per ciò che si vuol dire. I ragazzi, spaesati perché si sentono dare del “loro”, lo ritengono folle. «La scuola, lo sanno bene anche loro, è un posto assurdo. Un posto che non ha pari sulla terra. Un luogo colmo di meraviglie, mistero e pericolo. Forse per sopravviverci bisogna essere un po’ matti. Come un cappellaio – avrebbe detto Alice – o forse come un parolaio…».

Il mago si chiama Marc, è nato senza una “o” ed è un uomo posato senza la “s”. Camminando tra i banchi e gesticolando senza tregua, lancia il guanto di sfida, li convincerà che «la grammatica è l’arte di incantare con le parole» e non “una delle cose più noiose del mondo”.

Scrive sulla lavagna di ardesia, percorre chilometri tra i banchi, assume pose ed espressioni buffe, con un segnale scatena il silenzio, si prende in giro da solo, predica l’ironia, non ha un televisore a casa, riassume le puntate precedenti perché repetita iuvant, ha sempre libri appresso, dedica almeno un’ora a settimana al confronto in aula (“domatempo”). Sembra che abbia ingoiato una collezione di vocabolari o che da piccolo sia caduto in un pentolone di libri! Ammettendo la propria fallibilità, tranquillizza. Si perde anche in “pistolotti” su come affrontare la vita. Mi ricorda, vagamente, qualcuno…

Ogni lezione diviene una partita a scacchi che il professore gioca con ciascun alunno. Parole, parole, parole (quelle di Shakespeare e di Mina) e dubbi amletici. Catapulte tra figure retoriche e segni di punteggiatura (emoji), modi di dire e nonsense, latino classico e latino medievale, dialetti e italiano letterario, etimologie e neologismi, fonti e costruzioni di opinioni, dislocazioni e passaggi segreti da una lingua all’altra (“senza bisogno di passaporto”). Accenti sui SI dei manifesti (e delle schede elettorali, ndr), confische dei “dove” come pronomi relativi e riassegnazione ai luoghi, restituzioni al passato degli “essendo che”. Ginnastica “allenamente”, per capire ciò che in prima battuta risulta incomprensibile.

Diventare grandi implica sforzi. La scolarizzazione non è una malattia da temere, prevenire o evitare. Alla parola ci si educa, il repertorio si plasma, scoprendo si diventa, restando saldi tra camaleontismo linguistico e geosinonimi, “ingannotizie” (fake news) e consecutio temporum, tossicità dell’”odioletto” (hate speach) e meme, situazioni e contesti differenti.

Enrico propone a Chiara, compagna di cui è innamorato non ricambiato, di fondare l’Accademia d’arte grammatica. E l’idea, datemi questi scolari, viene realizzata con entusiasmo: i membri si ritrovano e divertono a fare il gioco del vocabolario, mimare le figure retoriche, rimpallare calembours.

Un giorno arriva la strega, il mago è scomparso come era apparso. Cosa ha lasciato? L’aula tappezzata di versi poetici. Sonetti, non voti, nelle pagelle. Le fondamenta per l’autonomia.

Ora Enrico è un professore. Certe persone lo fanno. Ci si crede a momenti, è vero, ma non si può smettere di provarci.

A metà libro trovate i decaloghi dei pregiudizi e della linguistica (in foto) e in appendice la “Piccola palestra d’arte grammatica”. Prendetene, Galeotto potrebbe essere il libro e chi l’ha scritto!

Gemma Guido

Gemma Guido LIBRO

Che Gemma di libro! ~ di domenica su I&C

Gemma Acri Guido è nata a Cariati e cresciuta a Rossano. Ha poi cambiato casa e paese più volte di quelle in cui si è lasciata tagliare i capelli.
Dopo qualche anno nelle scuole del Cuneese, ora insegna Lettere al Liceo artistico di Ciampino. In precedenza è stata corrispondente de “Il Quotidiano della Calabria”, editor e correttrice di bozze. Le piace mangiare (anche se non si direbbe!), andare al cinema, viaggiare e camminare. Crede che i suoi genitori l’abbiano ormai perdonata per aver trasformato la loro casa in una biblioteca. E che l’ironia, i cani e la poesia salveranno il mondo. Oltre alla lettura, naturalmente!

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