Corigliano Rossano, il sogno del calcio unito: verso una squadra sola per il professionismo | VIDEO

Da anni a Corigliano Rossano il tema di una squadra unica torna ciclicamente a infiammare il dibattito sportivo. Con la fusione amministrativa tra le due città, la prospettiva di un progetto calcistico comune sembrava naturale, quasi un passaggio obbligato. Eppure, nonostante le speranze, l’idea resta sospesa tra entusiasmo e resistenze. Oggi la situazione non è semplice: la principale formazione cittadina, impegnata nel campionato di Eccellenza, vive un momento di difficoltà. I risultati altalenanti e le incertezze gestionali hanno riaperto una domanda che da tempo aleggia: può una città da 80 mila abitanti, la terza della Calabria per popolazione, continuare a dividersi su due fronti calcistici senza mai riuscire a costruire un percorso stabile verso il professionismo?

In questo contesto, le parole di Tonino Mazzacua, ex allenatore di entrambe le squadre, hanno riacceso l’interesse. «Credo che, dopo l’unione amministrativa, sia inevitabile una squadra unica che esprima una città di 90 mila abitanti e che quindi possa stabilmente entrare nel professionismo e magari fare campionati prestigiosi», ha detto. Mazzacua conosce bene le due realtà, avendole guidate entrambe in momenti diversi, e la sua visione si inserisce in un discorso che va oltre il calcio. È una questione identitaria. La fusione del 2018 tra Corigliano e Rossano ha generato una città nuova, ma non ancora del tutto coesa. Lo sport, e in particolare il calcio, riflette queste fratture.

Nel tessuto cittadino convivono ancora due culture del tifo: quella coriglianese e quella rossanese. Due tradizioni, due storie, due modi di vivere la domenica allo stadio. Gli ultras di entrambe le fazioni difendono simboli e colori che sentono propri. Eppure, da un punto di vista economico e organizzativo, mantenere due club distinti limita le possibilità di crescita. La visione di una società unica nasce proprio da questa consapevolezza: una sola squadra, un solo impianto di riferimento, un’unica struttura dirigenziale. I numeri della città rendono l’idea plausibile. Con 80 mila abitanti e uno stadio in grado di accogliere circa 5 mila spettatori, la base di sostegno sarebbe solida. Un pubblico di queste dimensioni garantirebbe anche un ritorno economico interessante per eventuali investitori.

Il nodo, però, resta culturale. Nella classe dirigente e imprenditoriale locale, le rivalità storiche pesano ancora. L’unione amministrativa non ha cancellato le appartenenze, e nel calcio questo sentimento si amplifica. La difficoltà non è tanto nel costruire una società sportiva nuova, quanto nel creare una visione comune capace di rappresentare tutti. Eppure, la città ha potenzialità importanti. Gli imprenditori del territorio, sottolinea Mazzacua, potrebbero avere un ruolo decisivo: «Sarà compito dell’amministrazione cercare di coinvolgere più imprenditori possibili per inseguire l’obiettivo del professionismo». La presenza di un tessuto produttivo vitale, tra agricoltura, logistica e servizi, potrebbe garantire un sostegno concreto.

Un progetto del genere richiederebbe tempo, programmazione e una guida condivisa. Servirebbe un tavolo istituzionale con Comune, società sportive, tifoserie e potenziali sponsor. Ma soprattutto servirebbe un cambio di mentalità, capace di superare campanilismi e diffidenze. Nel panorama calcistico calabrese, l’esperienza di Corigliano Rossano sarebbe un unicum: una città che decide di scommettere su se stessa, trasformando la fusione amministrativa in un’occasione di rinascita sportiva. Il calcio, in fondo, è un linguaggio popolare, un veicolo di identità collettiva. In una terra dove ogni paese vive la propria squadra come una bandiera, l’idea di fondere due tradizioni calcistiche in un’unica realtà può apparire rivoluzionaria. Ma può anche diventare il simbolo maturo di una nuova fase. Corigliano Rossano ha già dimostrato di poter unire risorse e visioni sul piano istituzionale. Ora la sfida – anzi, il passo successivo – è farlo anche sul campo. Creare un’unica squadra non significherebbe rinnegare la storia di due club, ma costruirne una nuova, in cui entrambe possano riconoscersi. E forse, un giorno, i tifosi che oggi si guardano da curve opposte potrebbero cantare insieme lo stesso inno.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Articoli correlati: