L’affluenza alle urne nei comuni calabresi per le amministrative 2025 è stata la cartina di tornasole di un sistema elettorale che non funziona più. Un dato su tutti: solo il 60,91% degli aventi diritto ha deciso di votare. Una media che nasconde il picco positivo di Isola Capo Rizzuto, ma che in gran parte del territorio regionale racconta un’apatia consolidata. L’elettore ha smesso di credere, ha smesso di sperare. E ha iniziato a disertare.
A parte rare eccezioni, nei centri maggiori si conferma una desolante tendenza: liste improvvisate, programmi fotocopiati, slogan già sentiti. Le vecchie logiche dei comitati elettorali, attivati in fretta e furia nei mesi prima del voto, continuano a prevalere su qualunque seria idea di proposta politica. Nulla di strutturato, nessuna visione, solo un’accumulazione compulsiva di candidature, spesso senza un’identità chiara. L’elettore questo lo percepisce e agisce di conseguenza: resta a casa.
Il dato sull’astensione non è solo un segnale. È un campanello d’allarme, forte e chiaro. I cittadini non si sentono coinvolti perché il processo politico non li interpella. Si continua a fare politica come trent’anni fa, con i soliti riti: il comizio con accuse personali, la promessa non verificabile, la ricerca del consenso sull’onda emotiva anziché sulla base di proposte concrete. È tempo di dire basta.
È tempo che i partiti, se vogliono ancora esistere, tornino a fare politica nelle sedi, con confronto, analisi e programmazione. È tempo che le candidature non siano più frutto di dinamiche amicali, ma di una selezione seria, fondata su competenze e conoscenza del territorio. È tempo che le campagne elettorali si trasformino in un confronto su progetti concreti, pensati per il dopo elezione, e non su slogan da palco.
In questo scenario, il civismo ha perso terreno. Molti progetti nati per “rompere gli schemi” sono naufragati sotto il peso delle contraddizioni interne o, peggio, sotto l’influenza di pratiche imitative della vecchia politica. L’autoproclamato “nuovo” spesso si è dimostrato peggiore del “vecchio”. E così, in diversi comuni, l’elettore ha preferito tornare al già noto, al veterano della politica, al cosiddetto “vecchio leone”. Non per convinzione, ma per assenza di alternative credibili.
Ecco che il giovanilismo fine a se stesso inizia a perdere colpi. Non basta la giovane età, non basta il linguaggio da social, non bastano le frasi fatte prese in prestito da qualche manuale motivazionale. Serve preparazione, studio, coraggio nelle decisioni. Servono candidati che sappiano assumersi responsabilità, non che rincorrano la scena. Serve, soprattutto, una nuova etica del confronto politico, capace di andare oltre le risse verbali, le accuse personali, i pettegolezzi di quartiere.
Chi si propone di governare un territorio deve sapere raccontare una visione. Deve saper spiegare, con precisione, cosa farà, con quali strumenti, con quali tempi. L’elettore vuole sapere cosa cambierà davvero, se ci sarà un piano per il lavoro, per la sanità, per i servizi. Non bastano le denunce, servono soluzioni. Non servono comizianti, servono amministratori.
L’astensione è anche figlia di una comunicazione sbagliata. Troppi candidati parlano, pochi ascoltano. Si rincorrono consensi a colpi di promesse vaghe, si evitano i dibattiti reali, quelli sui problemi veri. Manca completamente l’idea che la politica sia anche ascolto, analisi, fatica. Non è un palco, è un laboratorio. E chi oggi la vive come spettacolo, domani non verrà più applaudito.
Matteo Lauria – Diretto I&C
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