Editoriale. Investimenti al Porto di Corigliano della Baker Hughes: Un’opportunità necessaria o un inconveniente stridente?

Matteo Lauria

In queste ultime ore, il Porto di Corigliano ha visto uno sviluppo significativo con l’incontro tra i vertici della società statunitense Baker Hughes e il Presidente Occhiuto presso la Cittadella a Catanzaro. I risultati sembrano promettenti per le parti coinvolte, ma l’entusiasmo è mitigato da voci di opposizione che vedono il progetto in contrasto con la vocazione naturale del porto.

Chi si oppone, spesso, accusa tali investimenti di provenire “dall’alto”, paventando l’inquinamento e ritagliando un’immagine di dannosità per il territorio. Tuttavia, questo scetticismo nasce in un contesto in cui il territorio stesso fatica a generare posti di lavoro sostenibili nel lungo termine. Le proposte alternative sembrano limitate a un indotto temporaneo, senza rispondere adeguatamente alla crescente domanda di occupazione.

L’alto tasso di emigrazione, soprattutto giovanile, evidenzia la necessità di agire in modo proattivo. Il territorio paga il prezzo di un immobilismo collettivo, forse dovuto a un eccesso di delega e alla mancanza di un coinvolgimento diretto nella pianificazione del proprio sviluppo.

Il problema si radica anche nella percezione di uno Stato che sembra aver abbandonato da tempo la cura del territorio. Basti guardare ai dati occupazionali nel pubblico impiego: Crotone e Corigliano-Rossano contano approssimativamente 3/4 mila dipendenti ciascuna, mentre Cosenza arriva a 17mila e Catanzaro a 27mila. Questa disparità è un campanello d’allarme che evidenzia la necessità di riforme strutturali.

Il progetto di un’area metropolitana Crotone/Gallipoli e di un doppio capoluogo Corigliano-Rossano/Crotone potrebbe essere la chiave per obbligare lo Stato a investire, generando nuovi posti di lavoro e attivando l’economia locale. Tali proposte sono attuabili con costi contenuti o addirittura zero, ma l’inerzia operativa sembra essere un ostacolo insormontabile.

Nel contesto di un’apparente rigidità burocratica e di un’inerzia operativa diffusa, gli investimenti di industria pesante, come quelli proposti dalla Baker Hughes, sembrano emergere come soluzione “facile” a un problema più profondo. La realtà è che, finché il contesto non cambierà, sarà difficile respingere tali proposte, poiché il territorio stesso sembra incapace di offrire alternative strutturali ed economicamente sostenibili. La sfida è ora trovare un equilibrio tra lo sviluppo industriale e la tutela dell’ambiente, garantendo nel contempo un futuro occupazionale stabile per la comunità locale.

Matteo Lauria – Direttore I&C

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