A distanza di poche ore dalla maxi operazione che ha portato all’arresto di alcuni esponenti di spicco della criminalità organizzata cassanese, emergono i primi dettagli dagli atti giudiziari. L’inchiesta coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro non si limita al semplice contrasto a reati di stampo mafioso: delinea una struttura organizzata, radicata, che avrebbe esercitato un controllo sistematico su appalti pubblici e attività economiche locali.
Al centro delle indagini restano Nicola Abbruzzese, detto “Semiasse”, e Marco Abbruzzese, alias “U Palumm”, indicati come elementi direttivi dell’omonimo clan. Secondo gli inquirenti, gestivano un sistema estorsivo basato su intimidazioni mirate a imprenditori della zona, con richieste precise: denaro in cambio di tranquillità, protezione e libertà di lavorare.
I riscontri più gravi riguardano almeno tre episodi documentati: a Cassano, un imprenditore si è visto chiedere il 3% del valore di un appalto pubblico; a San Demetrio Corone, un altro cantiere è stato bersaglio di pressioni; infine, a Villapiana, un terzo imprenditore sarebbe stato avvicinato per “mettersi a posto” in cambio di pagamenti mensili. In tutti i casi, la minaccia era implicita ma chiara: chi non pagava, rischiava danni alle persone o ai mezzi.
Accanto ai due Abbruzzese, spicca anche il nome di Pasquale Forastefano, figura già nota alle cronache giudiziarie. Insieme a Francesco Faillace, è accusato di aver minacciato un imprenditore di Spezzano Albanese con l’appoggio della presunta cosca Presta. L’obiettivo? Estorcere denaro destinato, almeno in parte, alle spese legali dei detenuti vicini al gruppo.
Tra gli arrestati anche Finizia Pepe, moglie di Nicola Abbruzzese, considerata dagli inquirenti la “contabile” della cosca. Il suo ruolo andava oltre la gestione dei flussi economici: teneva i contatti con affiliati detenuti, organizzava versamenti e pagamenti, e faceva da ponte tra il gruppo operativo e quello in carcere.
Attività criminale silenziosa ma organizzata
La Direzione Distrettuale Antimafia, guidata dal procuratore Salvatore Curcio, ricostruisce nel provvedimento un’organizzazione fluida ma strutturata, che nonostante i colpi inferti dalle precedenti operazioni “Kossa”, “Gentlemen 2” e “Athena”, ha continuato a muoversi nell’ombra. Dopo l’omicidio di Leonardo Portoraro, le due principali consorterie si sarebbero riavvicinate per dividere il controllo delle zone di influenza e garantire continuità ai propri interessi.
Secondo gli inquirenti, i due gruppi si erano spartiti appalti, “protezioni” e gestione del territorio, cercando di non attirare l’attenzione, ma mantenendo inalterato l’apparato di potere e di pressione sugli operatori economici locali.
Interrogatori in corso, attesa per le decisioni del Gip
Gli interrogatori di garanzia sono cominciati e proseguiranno nei prossimi giorni. Gli indagati dovranno rispondere delle accuse davanti al Gip Gilda Danila Romano. Alcuni avrebbero già scelto la linea del silenzio, altri invece starebbero valutando la strategia difensiva.
Sul tavolo c’è anche il possibile utilizzo delle dichiarazioni di collaboratori di giustizia, tra cui Gianluca Maestri, il cui nome compare in diversi passaggi dell’inchiesta. Secondo quanto ricostruito, avrebbe ricevuto “stipendi” direttamente da Finizia Pepe anche dopo il suo arresto, a dimostrazione di un sistema economico che assicurava continuità e fedeltà.
Il quadro tracciato dagli investigatori è quello di una criminalità che si muove con discrezione, ma con metodo. E se la pressione dello Stato è tornata forte con quest’ultimo blitz, resta da capire quanto a lungo potrà tenere il fronte interno della legalità in un territorio, come quello della Sibaritide, segnato da decenni di infiltrazioni e silenzi.
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