di Matteo Lauria, Direttore I&C
C’è una domanda che da tempo aleggia nei corridoi di chi osserva con attenzione la vita democratica del nostro Paese: perché per rendere valido un referendum serve un quorum del 50% più uno degli aventi diritto, mentre per eleggere sindaci, presidenti di Regione e parlamentari no? Una contraddizione evidente, che non può più essere ignorata.
Una filosofia a doppia velocità che fa riflettere e mette in discussione il vero equilibrio del nostro assetto democratico. Una regola che, paradossalmente, non valorizza la partecipazione ma la penalizza. Sia chiaro: questo discorso non nasce in reazione al recente referendum – che non ha superato il quorum –, né intende prestarsi a considerazioni di parte. Quello che emerge è un vizio strutturale che affonda le radici nella concezione stessa del quorum come elemento di validazione democratica.
Il peso sbilanciato dell’astensione
Con il meccanismo attuale, chi si oppone a un quesito referendario gode di un vantaggio doppio:
può votare “no” e contemporaneamente fare leva sull’astensionismo. È evidente che questa impostazione altera il senso della consultazione popolare, non ne rafforza la legittimità. Al contrario, ne disinnesca la portata e ne svuota la funzione istruttoria.
Elezioni politiche valide anche col 40%
Dall’altra parte, per eleggere una carica istituzionale non serve nessun quorum.
Ci sono sindaci legittimamente proclamati con il 40% degli aventi diritto al voto che si è effettivamente recato alle urne. Lo stesso vale per i presidenti delle Regioni, o per i parlamentari.
Tutto perfettamente legale. Ma è anche legittimo, da un punto di vista democratico?
Il dato sull’astensionismo cresce costantemente. Ci troviamo di fronte a una classe politica che spesso rappresenta una minoranza assoluta del corpo elettorale, eppure esercita pienamente un mandato istituzionale. E allora perché questo sbilanciamento? Se si ritiene necessario un quorum per garantire la “serietà” del voto popolare nei referendum, perché non lo si prevede anche per le elezioni politiche e amministrative? Qual è la coerenza di fondo? A quale logica democratica risponde questa asimmetria?
Abbattere il quorum per rilanciare la partecipazione
Una soluzione esiste, ed è anche semplice: eliminare il quorum dal referendum.
Solo così la consultazione potrà tornare a essere uno strumento vivo e concreto.
Paradossalmente, anche chi è contrario alla proposta referendaria potrebbe giovarsi di una maggiore affluenza: più persone alle urne significa un voto più autentico, più rappresentativo, più politico. Senza quorum, i cittadini sarebbero chiamati a partecipare per davvero.
E lo farebbero. Lo farebbero anche solo per evitare che decidano gli altri. Lo farebbero perché la loro opinione conterebbe sempre, non solo se si raggiunge una soglia arbitraria.
Una democrazia coerente è una democrazia vera
Il nodo è politico, ma prima ancora culturale. Viviamo in uno Stato di diritto che afferma di voler valorizzare la partecipazione popolare, eppure applica regole diverse a seconda dello strumento.
Un doppio binario che indebolisce la fiducia e disorienta chi vorrebbe contribuire. O il quorum vale sempre, o non vale mai. La democrazia non si misura a percentuali, ma a coerenza. E in questo momento, quella coerenza è venuta meno.
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Una risposta
Il quorum e tutte le norme sui referendum sono richiesti dalla costituzione, per eliminarli bisogna modificare la costituzione, la sinistra deve avere le palle di fare i cambiamenti quando è al potere altrimenti deve stare zitta perché non può chiudere alla destra di fare le cose di sinistra. Detto ciò voglio precisare che sono nata democristiana e voglio morire libera in un paese democratico e che mi sono sentita sopraffatta solo sotto Giuseppe Conte.