Negli ultimi mesi, anche a Corigliano-Rossano, si sono verificati episodi inquietanti che hanno visto giovani – e perfino minori – protagonisti di gesti violenti e immotivati. Non è una realtà isolata: simili episodi si moltiplicano in tutto il Paese, da nord a sud. Sono segnali che raccontano un disagio diffuso, un’incapacità crescente di incanalare emozioni e conflitti, un indebolimento delle regole condivise.
Di fronte a tutto questo, le istituzioni – quelle politiche ma anche quelle giudiziarie – tendono sempre più spesso a smorzare, a non dare rilievo, a evitare il clamore. La linea seguita è quella della moderazione: niente allarmismi, niente titoloni. Il messaggio da trasmettere deve essere rassicurante: lo Stato c’è, i problemi si affrontano, tutto è sotto controllo.
Un principio, questo, che in sé ha un senso. Siamo d’accordo nel ritenere che i fatti di cronaca non debbano essere spettacolarizzati. Non servono processi mediatici, né narrazioni che alimentino la paura o l’odio. Ma c’è una soglia oltre la quale il riserbo si trasforma in rimozione. E lì il silenzio smette di essere prudenza e diventa complicità.
Quando non si parla di certe azioni, quando non si comunica l’esistenza di un reato e delle sue conseguenze, viene meno la funzione educativa dell’informazione. I giovani, soprattutto, devono sapere che non tutto è tollerabile. Che se si distrugge, si aggredisce, si minaccia, ci sono delle conseguenze.
La notizia, data con equilibrio e sobrietà, ha un valore pedagogico. Fa capire che esiste un limite. Che non tutto è permesso. Che la libertà personale si esercita nel rispetto dell’altro.
È legittimo evitare la spettacolarizzazione, ma è sbagliato occultare. E non per sete di giustizialismo, ma per una questione di responsabilità collettiva. Se le istituzioni, per eccesso di prudenza, rinunciano a raccontare ciò che accade, rinunciano anche a formare coscienze.
Un ragazzo che non sa, che non sente, che non vede le conseguenze dei gesti, si convince che può fare tutto. Che tanto, alla fine, non succede niente.
Questo non è garantismo. È abbandono. E un Paese che si gira dall’altra parte, che minimizza per rassicurare, è un Paese che rischia di perdere il senso stesso della convivenza civile.
Non servono parole forti. Basta dire le cose. Raccontarle, con equilibrio. E soprattutto, non far finta che non esistano.
Matteo Lauria – Direttore I&C
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