Customize Consent Preferences

We use cookies to help you navigate efficiently and perform certain functions. You will find detailed information about all cookies under each consent category below.

The cookies that are categorized as "Necessary" are stored on your browser as they are essential for enabling the basic functionalities of the site. ... 

Always Active

Necessary cookies are required to enable the basic features of this site, such as providing secure log-in or adjusting your consent preferences. These cookies do not store any personally identifiable data.

No cookies to display.

Functional cookies help perform certain functionalities like sharing the content of the website on social media platforms, collecting feedback, and other third-party features.

No cookies to display.

Analytical cookies are used to understand how visitors interact with the website. These cookies help provide information on metrics such as the number of visitors, bounce rate, traffic source, etc.

No cookies to display.

Performance cookies are used to understand and analyze the key performance indexes of the website which helps in delivering a better user experience for the visitors.

No cookies to display.

Advertisement cookies are used to provide visitors with customized advertisements based on the pages you visited previously and to analyze the effectiveness of the ad campaigns.

No cookies to display.

Violenza giovanile e istituzioni: quando la scelta di non enfatizzare diventa un alibi per non raccontare

Negli ultimi mesi, anche a Corigliano-Rossano, si sono verificati episodi inquietanti che hanno visto giovani – e perfino minori – protagonisti di gesti violenti e immotivati. Non è una realtà isolata: simili episodi si moltiplicano in tutto il Paese, da nord a sud. Sono segnali che raccontano un disagio diffuso, un’incapacità crescente di incanalare emozioni e conflitti, un indebolimento delle regole condivise.

Di fronte a tutto questo, le istituzioni – quelle politiche ma anche quelle giudiziarie – tendono sempre più spesso a smorzare, a non dare rilievo, a evitare il clamore. La linea seguita è quella della moderazione: niente allarmismi, niente titoloni. Il messaggio da trasmettere deve essere rassicurante: lo Stato c’è, i problemi si affrontano, tutto è sotto controllo.

Un principio, questo, che in sé ha un senso. Siamo d’accordo nel ritenere che i fatti di cronaca non debbano essere spettacolarizzati. Non servono processi mediatici, né narrazioni che alimentino la paura o l’odio. Ma c’è una soglia oltre la quale il riserbo si trasforma in rimozione. E lì il silenzio smette di essere prudenza e diventa complicità.

Quando non si parla di certe azioni, quando non si comunica l’esistenza di un reato e delle sue conseguenze, viene meno la funzione educativa dell’informazione. I giovani, soprattutto, devono sapere che non tutto è tollerabile. Che se si distrugge, si aggredisce, si minaccia, ci sono delle conseguenze.

La notizia, data con equilibrio e sobrietà, ha un valore pedagogico. Fa capire che esiste un limite. Che non tutto è permesso. Che la libertà personale si esercita nel rispetto dell’altro.

È legittimo evitare la spettacolarizzazione, ma è sbagliato occultare. E non per sete di giustizialismo, ma per una questione di responsabilità collettiva. Se le istituzioni, per eccesso di prudenza, rinunciano a raccontare ciò che accade, rinunciano anche a formare coscienze.

Un ragazzo che non sa, che non sente, che non vede le conseguenze dei gesti, si convince che può fare tutto. Che tanto, alla fine, non succede niente.

Questo non è garantismo. È abbandono. E un Paese che si gira dall’altra parte, che minimizza per rassicurare, è un Paese che rischia di perdere il senso stesso della convivenza civile.

Non servono parole forti. Basta dire le cose. Raccontarle, con equilibrio. E soprattutto, non far finta che non esistano.

Matteo Lauria – Direttore I&C

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Articoli correlati: